Lo stile (interdisciplinare) di OSINT

Giovanni Nacci - Intelli|sfèra
10 min readMay 29, 2022

Sapete già — vi ho già assillato abbastanza in passato — che uno dei pilastri della mia proposta di Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte concerne il tipo di assetto teoretico di cui l’OSINT dovrebbe auspicabilmente dotarsi per potersi definire vera e propria disciplina, autonoma ma non separata dalle altre forme di intelligence.

Questa mia convinzione parte da due considerazioni che tante volte ho tenuto a ribadire. La prima considerazione riguarda il fatto che una disciplina non evolve se si mantiene isolata dal contesto in cui insiste, ovvero se si mantiene terza ed esterna al suo stesso ambiente. La seconda considerazione riguarda il fatto che l’assetto disciplinare di OSINT, ad oggi, ancora non dispone di strumenti concettuali idonei a definire e descrivere in modo formale e robusto le entità che costituiscono il proprio oggetto di studio (dati, informazioni, relazioni, narrazioni e fonti) al contrario invece di quanto accade in altre e diverse discipline ben più antiche, robuste e strutturate

Dunque l’unica soluzione, per OSINT, è quella di tuffarsi nello stesso mare in cui nuotano le discipline che le sono in qualche modo affini e dai loro costrutti teoretici attingere a quei blocchi di conoscenza che possono rivelarsi funzionali alla costruzione e allo sviluppo del proprio costrutto teoretico. Non occorre inventare praticamente nulla: quasi tutte le conoscenze disciplinari necessarie sono state già oggettivate e validate da altre discipline.

Ma anche soltanto per ricevere blocchi di conoscenza disciplinare dall’esterno occorrono però strumenti concettuali adeguati. Alcuni di questi strumenti riguardano l’aspetto meramente linguistico, ovvero la costruzione di interfacce che siano in grado di mettere in comunicazione due o più linguaggi disciplinari (o microlingue) che possono anche essere molto distanti tra loro (proprio da questa esigenza è nata l’idea del mio Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte, edito da Epoké).

Altri strumenti riguardano invece le prassi attraverso le quali le discipline approcciano all’oggetto di studio, costruiscono i concetti, sviluppano i metodi analitici, condividono ipotesi, conclusioni, teorie, sistemi di teorie e in buona sostanza tutta la propria conoscenza disciplinare.

Queste prassi rientrano tutte in un concetto ampio di “ interdisciplinarità” (per ulteriori approfondimenti — e per non ripetermi troppo in questa sede — rimando ai miei Open Source Intelligence Abstraction Layer, Open Source Intelligence Application Layer e Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle fonti aperte).

Sfortunatamente di interdisciplinarità ancora oggi si parla molto, paradossalmente se ne parla troppo. E troppo spesso a sproposito, facendo riferimento a concetti fin troppo generalisti e vaghi.

Ho pensato perciò di riportare e commentare dei brevi periodi da un piccolo volume che secondo me è ancora f ondamentale per la comprensione del concetto di “interdisciplinarità” e, soprattutto, di interdisciplinarità applicata a OSINT. Lasciate che vi dica autore e titolo del volume soltanto alla fine, perché in questo caso credo che l’”effetto sorpresa” sia importante (chi vuole può ovviamente rinunciarci e andare subito a leggere di cosa si tratta).

L’operazione che tenterò non è una vera e propria esegesi del testo, semplicemente proverò — proprio come una interfaccia — a calare i concetti riportati nel testo all’interno del sistema teoretico di una disciplina giovane e sicuramente non ancora matura come OSINT. Una disciplina che — come per un qualsiasi adolescente — sta vivendo quell’esatto momento di smarrimento in cui si deve decidere chi si vuole essere e dove si vuole arrivare. Momento di smarrimento che in cui si è in balia di moltissimi stimoli, tendenti ognuno verso una direzione diversa: molti di quegli stimoli si riveleranno utili, qualcuno si rivelerà fondamentale o addirittura illuminante, altri saranno invece tendenzialmente distraenti, quando non addirittura fuorvianti.

Iniziamo.

“Lo stile del procedere interdisciplinare si impone a livello di fatto, si costruisce su basi logiche, avanza nelle proposte esplicative e in quelle previsivo-tecnologiche ed è ormai un comando etico per ogni insegnante non evasivo.”

L’Autore sta chiaramente inquadrando la questione [della interdisciplinarità] in un ambito eminentemente pedagogico. Ma anche sostituendo “insegnante” con “esperto OSINT” (al netto di quei casi in cui l’esperto OSINT diventa anche un insegnante… di OSINT) il significato resta ancora potente.

Come l’insegnante, infatti, anche l’esperto (o operatore, o analista, eccetera) OSINT non dovrebbe mai essere “evasivo” o comportarsi o presentarsi come in modo sfuggente, elusivo, ambiguo o comunque dar modo che altri lo pensino così.

Dizionario Treccani alla mano, l’esperto OSINT, come l’insegnante, dovrebbe sempre…impegnarsi direttamente” e sentirsi sempre coinvolto in prima persona nella propria disciplina ovvero “…far conoscere chiaramente il proprio pensiero” sulle questioni che la riguardano e soprattutto non deve esimersi dal “…rispondere con precisione a una domanda, a una richiesta.

E’ indiscutibile che il richiamo alla completezza, alla esaustività, alla responsabilità (anche intesa come accountability, cioè all’ “obbligo di rispondere” di un qualcosa) sia assolutamente valido anche per l’esperto OSINT, così come resta altrettanto valido l’invito a percepire questa necessità non come mero “compito” del ruolo, bensì come un “comando etico” insito nella natura della prassi disciplinare, che ha origine in uno “ stile di procedere” inclusivo, che sceglie l’interdisciplinarità come strumento necessario e indispensabile per garantire l’auspicato elevato profilo intellettuale della risposta alla domanda data (in altri tempi, non troppo lontani per la verità, si sarebbe potuto parlare addirittura di “onestà intellettuale”).

“Certo, l’interdisciplinarità può venir facilmente fraintesa ed allora diviene sinonimo di pressapochismo. Ma, in effetti, benché essa lotti contro i pericoli incombenti in ogni specializzazione (come il dogmatismo o la chiusura nei confronti delle altre prospettive), essa comunque è il miglior antidoto alla tentazione del dilettantismo.”

(…)

“L’interdisciplinarità presuppone la multidisciplinarità. Ma la multidisciplinarità implica la specializzazione. E siccome la specializzazione è logicamente necessaria, ma frustrante psicologicamente ed insufficiente per una “comprensione” della “cosa” sia a livello esplicativo sia a livello operativo o di progettazione, l’interdisciplinarità appare imprescindibile.”

L’autore — poi conoscerete l’anno esatto in cui queste parole sono state stampate — si dimostra sorprendentemente lungimirante nel prevedere il destino del concetto di “interdisciplinarità” oltre che nel preannunciare come la ampia diffusione del termine al di fuori dei microlinguaggi disciplinari specialistici (cfr. Pörksen) porterà poi ad un suo significativo impoverimento semantico, cosa che amplierà al massimo le occasioni di uso improprio e addirittura fraintendimento — più o meno voluto, più o meno consapevole — all’interno del linguaggio colloquiale.

Un destino simile lo sta vivendo l’acronimo (e quindi dal concetto) “OSINT”, la cui percezione comune è ormai da tempo relegata a un insieme di mere tecniche e prassi operative che è possibile attuare con una minima, se non addirittura nulla, preparazione specialistica e senza che si renda necessario acquisire una qualche consapevolezza di tutto costrutto teoretico che — o dovrebbe stare — sta dietro il concetto (ammesso e non concesso che sia universalmente accettato che alle spalle di OSINT debba esistere un costrutto teoretico formale e robusto, cosa che ad oggi non è affatto scontata).

Lo sviluppo di tutto quanto gira attorno all’idea di “rete” (dal web — più o meno deep — alle reti sociali più o meno tecnomediate) e la pervasività dei servizi ai quali oggi siamo soliti indicare con la locuzione “ il digitale” non ha fatto altro che aggravare questa percezione di OSINT che non poche volte degenera, appunto, nel pressapochismo e nel dilettantismo.

Ecco dunque che anche per una disciplina come l’OSINT, lo “stile interdisciplinare” — l’interdisciplinarità — r appresenta perciò lo strumento concettuale “imprescindibile” per trovare il corretto equilibrio tra la chiusura degli specialismi e la superficialità dei dilettantismi.

L’interdisciplinarità dunque da un lato permette di ottenere una “comprensione della cosa” a diversi livelli di astrazione — quello applicativo, quello operativo e quello ancora più importante per OSINT di progettazione — mentre dall’altro permette alla disciplina di potersi collocare, di volta in volta e al variare della “domanda” e dell’oggetto di studio, al livello di astrazione più adatto alla risoluzione del problema.

“L’interdisciplinarità è uno stile di procedere, un modo di lavorare, una mentalità. “L’interdisciplinarità non è una disciplina che si possa fare sul “contenuto” delle singole discipline, è evidentemente una mentalità che la investe tutte, come collaboranti alla comprensione di un’unica e complessa realtà” Il lavoro interdisciplinare è il metodo per la riconquista di una unità che si era perduta cammin facendo nella selva della realtà. È il presupposto del vero dominio (esplicativo ed operativo) sugli eventi, sui problemi, su noi stessi.”

Si è detto: l’interdisciplinarità è in grado di mettere in comunicazione più livelli di astrazione. Questo implica necessariamente l’obbligo di sviluppare opportune prassi collaborative nel momento in cui discipline diverse approcciano, ognuna dal loro punto di vista, a uno stesso oggetto di studio, fenomeno, evento o problema.

È facile intuire come ciò sia fondamentale e irrinunciabile in OSINT (ma anche nell’intelligence in senso lato) che fa della comprensione di una “unica e complessa realtà” il proprio punto di forza e che proprio in questa particolarità esplicita la sua funzione principale: il raggiungimento del vantaggio strategico sui competitori.

“[L’interdisciplinarità] È un presupposto dell’educazione globale dell’uomo e della comprensione globale (da non confondersi con totale) dei problemi reali. E, in quanto tale, è un presupposto della democrazia e della partecipazione consapevole alle scelte. (…) Ma ancora. Dicevo in precedenza che il lavoro interdisciplinare, a prescindere dai suoi frutti nella ricerca esplicativa ed operativa, implica una buona dose di coraggio, di disponibilità e addirittura di umiltà. (…)”

L’Autore si spinge ancora più avanti: la funzione di interfaccia che l’interdisciplinarità promette non si limita al solo fatto meramente disciplinare. Le prassi di condivisione e mutua comprensione che l’interdisciplinarità prevede necessariamente normano i comportamenti e gli atteggiamenti di chi la pratica: il vero stile interdisciplinare implica che vi sia c oraggio nel sottoporre a critica i propri punti di vista, i propri metodi, le proprie conoscenze, le proprie convinzioni.

Implica che vi sia disponibilità a veder indagati i propri risultati, giudicati i propri sforzi, corretti — magari anche con poca delicatezza — i propri errori. E prevede pertanto l’umiltà di accettare tutte queste ingerenze, riconoscendone sempre il diritto di esistere e di essere seriamente considerate e valutate e — qualora dovesse capitare — la lealtà di ammetterne la validità e la correttezza.

L’OSINT dunque non può più prescindere dalla esistenza di un robusto costrutto etico a fondamento della disciplina. Non può più prescindere dalla necessità di considerare le fonti aperte non più come oggetti da consumare (da “fagocitare”, ho scritto altrove) bensì come entità da curare e preservare nella loro originarietà, entità che sono i veri elementi costitutivi della disciplina nonché ciò che direttamente alimenta la funzione stessa di intelligence.

“L’interdisciplinarità (…) Spezza la competizione e i suoi effetti che oscillano dalla frustrazione, all’aggressione e al rimorso. La competizione ci fa guardare l’altro sempre come al potenziale nemico. Nemico che bisogna battere o che, se ci ha battuto, dobbiamo comunque umiliare. L’interdisciplinarità, invece, spinge vedere nell’altro un collaboratore, un compagno di viaggio che insieme ripara la stessa barca o insieme ne progetta una migliore. L’interdisciplinarità dà il senso di una maggiore comprensione dei limiti del controllo del singolo sulla natura. Suscita il senso della solidarietà. È scuola di democrazia.”

Per definizione, il concetto di interfaccia agevola, permettere (anzi costruisce) possibilità di collegamento tra due o più entità: non può essere il contrario. E se l’interdisciplinarità è l’interfaccia tra le discipline — se l’interdisciplinarità è lo “stile” comportamentale e metodologico che le mette in comunicazione — essa ovviamente mal si concilia con il concetto di competizione, di competitività.

E in effetti l’interdisciplinarità mal si concilierebbe anche con la missione principale di OSINT (e dell’intelligence): il vantaggio strategico — appunto — sul competitore.

Ma disarticoliamo per un momento l’OSINT dalla sua (sfortunata) derivazione dall’intelligence “classificata”, dall’intelligence “militare”, dall’intelligence “competitiva” e inquadriamola invece come disciplina autonoma finalizzata al vantaggio strategico comune, condiviso, generale. In questa nuova ottica collaborativa quanto potrebbe una OSINT siffatta essere utile alla risoluzione degli annosi ben noti problemi che affliggono la società attuale?

Dalle crisi ambientali a quelle alimentari, passando per quelle sanitarie ed energetiche: quanto potrebbe contribuire l’OSINT — intesa come “intelligence delle discipline, per le discipline” — allo sviluppo della ricerca scientifica, tecnologica, medica, alla identificazione di nuove modalità di sfruttamento sostenibile delle risorse e così via?

Sicuramente molto. Probabilmente anche moltissimo. E allora perché non tentare un simile esperimento di disegno, costruzione e evoluzione disciplinare, proprio in questo momento in cui OSINT sta per decidere “cosa vuole essere da grande”? Perché ostinarsi ancora nel voler relegare OSINT a mera tecnica di spazzolamento del web (o della rete) per banali scopi di profiling di individui, gruppi e organizzazioni?

A chi dovesse storcere il naso davanti a una simile proposta replicherei dicendo che entrambi gli “stili” di OSINT potrebbero — per un certo periodo di tempo — tranquillamente convivere. Ma a un certo punto però si dovrà fare una scelta di campo: una scelta di campo, viste le premesse, necessariamente democratica. Una scelta di campo che auspicabilmente vada nel senso della democrazia. Che poi è proprio quello che ci si dovrebbe aspettare da una OSINT (da una intelligence) interdisciplinare e democratica.

Ecco dunque alla nota finale: il volume dal quale sono stati estratti i periodi che ho selezionato per questo commento (e che, per inciso, è uno dei volumi citati all’interno di Open Source Intelligence Application Layer ma anche negli altri volumi della mia “trilogia dei layer”) è di Dario Antiseri e si intitola “ I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare”, pubblicato da Armando Armando Editore, in Roma, nel millenovecentosettantadue: cinquanta anni fa, quando l’autore aveva 32 anni.

La riflessione — forse un po’ amara ( forse un po’ troppo amara) — con cui voglio chiudere queste brevi annotazioni consiste nella speranza che questi dieci lustri non siano passati invano: per l’OSINT, per l’intelligence… e per tutti noi.

P.S.: il volume “I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare” è l’argomento di un video sul canale YouTube di Intelli|sfèra disponibile anche come podcast nella puntata del 4 novembre 2021 de “I Podcast di Intelli|sfèra”

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Giovanni Nacci - Intelli|sfèra

Former Italian Navy Officer — Interdisciplinary Innovation in Open Source Intelligence (OSINT) — founder giovanninacci.net, intellisfera.it