Liste, elenchi, serie e altri oggetti pericolosi

Giovanni Nacci - Intelli|sfèra
9 min readJun 19, 2022

Una settimana fa, dopo qualche ripensamento, mi sono convinto ad affrontare — sul canale YouTube di Intelli|sfèra — la questione della famosa lista “pro-Putin” che sarebbe (è?) stata redatta all’interno delle agenzie per la sicurezza nazionale.

Quei (pochi) ripensamenti non erano dovuti a una presunta “scabrosità” dell’argomento ma — molto più banalmente — al fatto che normalmente tendo a evitare di impostare considerazioni disciplinari sulla base delle notizie di stampa.

Questo perché le “notizie” il più delle volte (anche quando riguardano temi particolarmente rilevanti) hanno vita breve e, di conseguenza, d ifficilmente riescono ad essere significativamente incisive sulle questioni eminentemente disciplinari.

Il giudizio dato alla “notizia” va sempre però tenuto separato da quello che si dà invece agli eventi e alle vicende fattuali sui quali vengono costruite quelle narrazioni. Infatti sì: la “notizia” — di per sé — non è altro che una narrazione effettuata da una fonte che ha la particolarità di poter contare su un elevato profilo di visibilità ( Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte, lemma “notizia”, Epoké, 2019).

Per queste e altre considerazioni rimando al video stesso che trovate qui sotto, nel caso aveste voglia di guardarlo (cosa che, ai fini di quanto dirò qui, potete tranquillamente evitare di fare).

Ad ogni modo anche la questione della famigerata “lista pro-Putin” — e il conseguente, blando dibattito giornalistico e politico — è andata velocemente svanendo dai contenuti offerti dai media più o meno sociali, più o meno “professionisti”.

Stessa sorte sembra si possa dire per le paventate conseguenze dentro e fuori il dominio disciplinare specifico (le attività governative di intelligence da un lato e gli studi di intelligence dall’altro), conseguenze che — ad oggi — sembrano essere assolutamente effimere, se non del tutto irrilevanti.

Insomma — volendo rievocare una certa fraseologia giornalistica — potrebbe sembrare si sia trattato di un normalissimo e innocuo “temporale estivo”.

Sfortunatamente sappiamo tutti ormai che i temporali estivi di conseguenze spesso ne lasciano, eccome. E allora quali sono le conseguenze di questo “temporale estivo” abbattutosi sulla disciplina dell’Intelligence delle Fonti Aperte?

Tralascerei l’ennesimo “uso improprio” di OSINT (e soprattutto del concetto di OSINT) che questa volta addirittura è addirittura da attribuire a una narrazione istituzionale, che erroneamente identifica la disciplina come qualcosa dalla quale “per definizione” non può uscire fuori nulla di “classificato”, ovvero niente di realmente rilevante, niente di significativo, niente di “pericoloso”.

Far passare questo tipo di messaggio è un errore concettuale, ma soprattutto è un errore strategico (ma anche per queste considerazioni rimando al video di cui sopra).

La questione sulla quale invece vorrei velocemente ragionare è il “che cos’è” e “come si fa” una lista (che sia fa fonti aperte o da notizie altamente classificate non fa alcuna differenza).

Dizionario alla mano, la prima accezione di lista la definisce come: “ Striscia, pezzo lungo e stretto di stoffa, panno, pelle, carta e similiari”. Una lista pertanto è prima di tutto un supporto fisico, materiale, che — in quanto oggetto — evidenzia una serie di proprietà specifiche. In una diversa accezione di lista, il supporto materiale diventa un foglio di carta che a sua volta “ …contiene una serie ordinata di nomi o di altre indicazioni “.

Qui le cose si complicano (un poco). Una lista è dunque costituita da: 1) un supporto materiale (che deve esistere, nel senso che non può essere ideale), 2) una specifica tecnologia di inscrizione di quel supporto materiale (ovvero da una tecnica che permette di modificare permanentemente, o quasi, la struttura fisica di quel supporto), 3) una serie di informazioni che vanno inscritte su quel materiale e infine 4) da una tecnologia di codifica — o linguaggio — che permette in un certo senso di “universalizzare” (ovvero rendere comprensibile e condivisibile ai più) la semantica di quelle iscrizioni. Alla tecnologia di inscrizione, insieme e quella di codifica, può anche essere dato il nome di “scrittura”.

È importante notare come la “lista” — per essere tale — deve presentare altre due proprietà peculiari. La prima proprietà sta nel fatto di dover necessariamente essere una “serie”, ovvero contenere elementi resi omogenei dal fatto di possedere tutti una stessa e ben determinata proprietà.

La seconda proprietà sta nel fatto che quegli elementi omogenei devono anche essere “ordinati”, ovvero essere sistemati in modo l’uno sia legato all’altro per il tramite di una relazione esplicita, costante e talvolta largamente arbitraria (la lettera F viene prima della G perché così è stato deciso nell’alfabeto).

Ma torniamo al concetto di serie. Essa è definita come una “ …successione ordinata e continua di elementi, concreti o astratti, dello stesso genere “.

La chiave di tutto sta ovviamente nella locuzione “dello stesso genere”. Il genere della serie definisce infatti il fascio di proprietà che degli elementi che faranno parte di quella lista devono obbligatoriamente possedere (la lista dei numeri interi dispari non deve contenere i numeri interi pari, la lista dei numeri primi deve contenere soltanto tutti i numeri interi maggiori di 1 che siano divisibili soltanto per 1 e per sé stessi, la lista dei cavalli con un singolo corno in mezzo alla fronte deve essere vuota e così via…).

La scelta del “genere” è pertanto assolutamente arbitraria. Così come in moltissimi casi — che ovviamente non riguardano la matematica ma ad esempio gli unicorni — può essere altrettanto arbitraria la decisione del fascio di proprietà che intendiamo prendere in considerazione (il c.d. Livello di Astrazione di Floridi) per descrivere il genere della lista, proprietà che usiamo come “griglia di comparazione” per discernere gli elementi che vanno inseriti nella lista (ovvero che possiedono le proprietà enunciate) oppure no.

La cosa interessante è che il “genere” della lista (ovvero sostanzialmente il suo “nome”) è arbitrariamente deciso da qualcuno ed è — per lo più — una decisione chiara, di solito esplicita: la lista degli “invitati alla mia festa di compleanno” contiene tutti quelli che inviterò alla mia festa di compleanno.

La lista dei “buoni e cattivi” che capoclasse fa alla lavagna, invece, contiene sia la sotto lista di chi sarà considerato “buono” che la sotto lista di chi sarà considerato “cattivo” (in realtà, se la memoria non mi inganna, la prima lista conteneva “i più buoni” e la seconda “i più cattivi”, dato che normalmente — per quanto fattualmente esistessi nella mia classe — il mio nome non veniva inserito né nell’una, né nell’altra).

Avrete sicuramente già capito dove voglio andare a parare.

Ovvero se fossi uno dei potenziali invitati alla mia festa di compleanno: quale sarebbe l’elenco delle proprietà che mi garantirebbe di essere inserito negli invitati ( simpatia, estrazione sociale, prestigio, lingua parlata, fascino, ecc.)? e quale invece l’elenco delle proprietà che invece mi assicurerebbero il fatto di essere scartato ( convinzioni politiche o religiose, colore della pelle, ecc.)?

“Nominare” una lista è cosa facile e talvolta banale. Identificare, esplicitare e condividere le proprietà che gli elementi di quella lista devono possedere è cosa molto più complicata. Talmente complicata che, assai più spesso di quanto si possa pensare, non si fa proprio: una volta enunciato il genere della lista — ad esempio “buoni e cattivi” spesso le proprietà che fanno gli uni e gli altri rimangono assolutamente ignote.

Rimangono ignote ai “soggetti passivi” della questione — coloro che verranno vagliati per l’inserimento nella lista — ma altrettanto spesso ri mangono ignote anche ai “soggetti attivi”, ovvero a chi concretamente definisce il genere e opera la selezione, ovvero a chi decide il “tipo” di lista e a chi effettivamente la compila.

E’ ormai chiaro perciò che l’inserimento — più o meno arbitrario — all’interno di una categoria/lista non avviene soltanto sulla base dell’evidenza di una “informazione” (veridica) o di una “disinformazione” (informazione intenzionalmente falsa) o di una “misinformazione” (informazione inintenzionalmente non vera) ma anche — forse soprattutto — sulla base di un fatto di “approssimazione concettuale”, della serie: “ non conosco bene il fascio di proprietà degli elementi che compongono questa lista, ma mi sembra che il soggetto (o l’oggetto) in esame possa potenzialmente possedere delle proprietà che tendenzialmente rispondono al “genere” della lista che sto compilando, quindi lo inserisco “.

Ovviamente non è così che si compila una lista, nessuna (seria) disciplina compila liste in questo modo, con questa aleatorietà, relativamente ai propri oggetti di studio. Forse, e mi costa moltissimo dirlo, lo fa solo l’intelligence…

Dunque, tornando alla questione, la domanda è: quale è il fascio di proprietà che è stato identificato affinché si possa definire la categoria di chi è “pro-Putin”?

In parole diverse: q uali proprietà peculiari esprime un soggetto che senza ombra di dubbio appartiene alla categoria “pro-Putin”? E ancora meglio: quali specifiche proprietà sono state prese in considerazione dagli operatori delle Agenzie che hanno redatto quella lista?

Non lo sappiamo. Né sappiamo se, dato che la lista stessa è stata declassificata, sarà possibile declassificare anche l’elenco delle proprietà sulla base delle quali la lista è stata compilata. S arebbe una cosa importante perché è su questo aspetto che si gioca la questione, più che sulla lista, sui nomi in sé.

Avrete notato come in questa sede non ho voluto toccare la questione della liceità — o meno — di redigere liste basate sulla valutazione di un certo tipo di proprietà che sono tipiche degli individui. Non perché la cosa non abbia importanza — anzi, ce l’ha eccome — ma proprio perché è indispensabile prima capire cos’è che si vuol fare, per avere poi cognizione del fatto se ciò che si vuol fare possa essere effettivamente fatto o meno.

In conclusione, riflettendo su quanto il concetto di “lista” — ovvero in buona sostanza di creazione di categorie — sia legato con un filo rosso a quello di “statistica” (che per certi versi alimenta e definisce le categorie) mi viene in mente un bel passaggio di un film altrettanto bello “ Das Leben der Anderen “ (Le vite degli altri) di Florian Henckel von Donnersmarck:

“Il Dipartimento Centrale di Statistica della DDR in Hans-Beimler-Straße registra tutto, sa tutto. Quante paia di scarpe compriamo ogni anno (2,3), quanti libri leggiamo ogni anno (3,2) e quanti studenti superano brillantemente ogni anno gli esami di maturità (6347). Ma c’è una cifra che non viene aggiornata, forse perché anche ai burocrati fa impressione: quella del numero di suicidi. A chi telefonasse in Beimler-Straße per chiedere quante persone la disperazione ha indotto a togliersi la vita tra l’Elba e l’Oder, tra il Mar Baltico e la frontiera meridionale, l’oracolo delle statistiche non risponderebbe. Ma probabilmente passerebbe subito il nome dell’incauto che ha chiamato alla Stasi, il Servizio Segreto di Stato che tutela la sicurezza e la felicità dei cittadini della DDR.”

La cosa che fa riflettere — la cosa su cui dovremmo riflettere di più — è il fatto che liste e statistiche non vengono compilate soltanto dalle Agenzie governative di intelligence, che anzi costituiscono una minima parte del totale delle liste, delle statistiche e delle categorie che noi stessi — più o meno inconsapevolmente — alimentiamo.

Lo zoccolo duro delle liste, delle statistiche e delle categorie è invece prodotto, ad oggi, dai maggiori player della cosiddetta società dell’informazione (non sto qui a ripeterli perché ormai dovremmo conoscerli tutti). Ed è in effetti un po’ preoccupante che tutta la narrazione che ci viene fatta tenda a giustificare queste attività proprio come finalizzate alla “sicurezza” e alla “felicità” di noi abitanti dell’Infosfera…

Le Agenzie di intelligence hanno già — o dovrebbero avere — un perimetro giuridico abbastanza ben definito entro il quale debbono muoversi e che non devono superare (e nell’ambito del quale devono comunque sviluppare le loro prassi).

La stessa cosa non si può dire per i grandi player privati. Non si può più lasciare che i big dell’informazione si muovano con tutta questa tranquillità in un contesto in cui la regolamentazione, quando c’è, è ancora allo stato embrionale (con tutto quel che ne consegue).

Altrimenti la prossima domanda che di qui a qualche anno dovremmo fare loro non sarà più “quali miei dati personali possiedi?” bensì: “ in quale lista mi hai arbitrariamente inserito? “ La qual cosa rientrerebbe a pieno titolo nella “lista delle cose concretamente inquietanti”…

Ma fare liste o essere inseriti in liste — quali che siano — non è il problema centrale.

Il problema vero è come si intende utilizzare quelle liste. Il problema vero è l ‘uso del “potere” che la promessa o la minaccia dell’impiego — più o meno etico, più o meno legale — di quelle liste garantisce a chi ha la possibilità (tecniche) e le risorse (fonti) per compilarle.

Ma qui si apre tutto un altro discorso.

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Giovanni Nacci - Intelli|sfèra

Former Italian Navy Officer — Interdisciplinary Innovation in Open Source Intelligence (OSINT) — founder giovanninacci.net, intellisfera.it